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L’ABITO DELLA FESTA
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L'abito della festa
Seguo Anthony Caruana sin dal suo esordio e l'ho visto crescere, libro dopo libro. L'abito della festa è senza dubbio la sua opera più matura. Colpisce l'equilibrio con cui tratta sentimenti complessi come quelli che accompagnano il momento più difficile della vita, ovvero la sua fine. La protagonista, Rosa, è uno dei suoi personaggi più riusciti, una donna composta e silenziosa, ma profondamente umana. L'abito della festa è una lettura avvolgente che rimane nella mente del lettore anche dopo aver voltato l'ultima pagina, lasciandogli sensazioni e spazi di riflessione che lo accompagneranno a lungo.
Una narrazione lucida, struggente e profondamente umana sule tem
In poco più di cento pagine, dense di vicende, intrecci e riflessioni, viene affrontato con coraggio, lucidità e disincanto il tema della morte attraverso lo sguardo ora amorevole ed empatico, ora risentito e vendicativo, ora straziato e imprecante dei vari personaggi, i cui punti di vista si susseguono nella narrazione seguendo giorno per giorno, dal lunedì alla domenica, la sequenza biblica della creazione. Il risultato è un libro potente, profondo, che colpisce le viscere con la spietatezza indispensabile del patologo che, affondando il bisturi, indaga sui misteri della morte.
Tutto ruota attorno a un personaggio, Rosa, che, in seguito a un evento drammatico, che ha modificato radicalmente la sua vita, ha dovuto abbandonare il proprio lavoro di infermiera in corsia per dedicarsi alla preparazione delle salme prima che vengano esposte ai parenti. È un lavoro che svolge con dedizione, cura e rispetto, conscia della sacralità di quell’ultimo momento e della dignità con la quale i morti devono presentarsi ai loro cari prima di scomparire per sempre. Dietro all’impegno e alla sollecitudine di questo suo lavoro traspare fin dalle prime pagine il dramma della sua esistenza segnata dall’infanzia dall’abbandono del padre, che Rosa non ha mai conosciuto, dalla rottura dei rapporti con la madre, persona anafettiva, la cui esistenza è stata a sua volta segnata da un evento drammatico, che è stato la causa di quella rottura, e da un difficile rapporto con il figlio, per il quale Rosa ostenta un poco credibile disprezzo. C’è infatti in lei una certa durezza, la durezza di chi ad appena cinquant’anni sembra non avere più nulla da aspettarsi dalla vita. Gli affetti (quello filiale, quello materno e quello coniugale) si sono prosciugati, lasciando un deserto nel suo cuore, e le doti di empatia e amorevolezza che accompagnavano il suo lavoro di infermiera sono state sostituite da una rassegnata, sebbene rispettosa e partecipe, cura per chi è in partenza per l’ultimo viaggio. A scaldarle un poco il cuore restano i ricordi delle sue estati da bambina nel paese dei nonni e una relazione senza prospettive con un uomo sposato, il dottor Luciani, medico nel suo stesso ospedale, ancora affettivamente legato alla moglie e alla figlia. È una relazione questa che però la fa sentire un po’ “bottana”, termine che da bambina aveva sentito usare da suo nonno a proposito di sua madre così come, sempre da lui, aveva sentito usare la parola “danno” a proposito della sua venuta al mondo.
Attorno a Rosa, come dicevamo, ruotano altri personaggi, legati in un modo o nell’altro ai morti di cui lei si prende cura.
Ci sono Martina e Stefano, divenuti cinici e refrattari al dolore per la condizione, divenuta ormai una “costante nella loro vita”, di orfani di madre, i quali davanti alla salma della sorellastra Ramona, prediletta dal padre e “bella anche da morta”, provano la torbida soddisfazione di vederla finalmente strappata all’adorazione del genitore e privata dell’eredità esclusiva che lui le aveva lasciato. “Il disprezzo per Ramona ci unisce nel cinismo” dice Martina, soddisfatta delle “lacrime del padre”, vissute come un “riscatto” per le sue sofferenze e per quelle di suo fratello, ma anche tormentata da ingiustificati sensi di colpa per non aver saputo da bambina impedire la morte della madre.
C’è poi la giovane libraia Melissa che scopre l’orrenda fine dell’amico somalo Ahmed, calzolaio nella stessa via dove lei ha la libreria, massacrato di botte da una teppa di razzisti dopo una dura vita da emigrante dedicata al mantenimento della moglie e della figlia, sopravvissute alla violenza assassina dei signori somali della guerra, che hanno ucciso i due figli maschi di Ahmed e stuprato la figlia, rendendola muta. Melissa, che è cresciuta in una casa-famiglia, si sente orfana di fronte alla salma di Ahmed, che era diventato per lei padre e madre allo stesso tempo. Si assumerà lei il compito di avvisare della morte di lui la moglie e la figlia Luna, con la quale da tempo mantiene un rapporto epistolare, e di far trasportare la salma in Somalia, assecondando il desiderio della moglie.
C’è infine una madre straziata di fronte alla salma del suo bambino morto di leucemia. Al suo dolore si unisce in pagine di intenso lirismo quello di uno dei portantini, Luca, che dismette le usuali vesti del lavoratore avvezzo alla routine per lasciarsi andare ad accorate riflessioni sull’ingiustizia della vita e sulla crudeltà di chi la governa, accanendosi sulle sue creature più innocenti. Luca, che era stato molto vicino al piccolo durante la sua malattia, gli aveva regalato, giocando con lui, un momento di grande gioia proprio nei suoi ultimi giorni, quando era ormai privo di forze. Dice la madre del bimbo: «Se devo fissare nella mente un solo istante di gioia per ricordare mio figlio, voglio sia questo gesto di abbandono totale, di fiducia pura verso l’amico, un amore così intenso e vero di cui solo i bambini sono capaci».
Le storie dei personaggi, che hanno come punto d’incontro il “regno” sotterraneo e desolato di Rosa (“un palcoscenico infinito di dolore dove è rappresentato quotidianamente uno spettacolo macabro che non ha pause”), si intrecciano man mano che procede la narrazione, facendoci scoprire nuove connessioni, nuovi punti di vista e nuove verità, fino a portarci alla rivelazione del fatto misterioso che ha mutato radicalmente la vita della protagonista e delle persone a lei legate. Il caleidoscopio dei punti di vista, che ci viene offerto dal mutare continuo della voce narrante e dagli innesti delle storie l’una sull’altra, diventa lo spunto per molteplici riflessioni su quello che è il tema portante del libro: la morte e ciò che essa in noi suscita. Troviamo allora lo sgomento, lo spirito di ribellione, il cinismo, l’opportunismo, la ricerca di consolazione, il rifugio nel misticismo.
Il dottor Luciani davanti alla salma di Ahmed dice: «Cosa siamo in fondo? Una complessa e perfetta macchina biologica? Un involucro di consapevolezza? Dei missionari d’esperienze destinati a lasciare traccia del nostro passaggio? Anime trasmigratorie? Uomini in cammino? Tabernacoli di eternità?»
Rosa, in vacanza in Grecia ai tempi del liceo, vede un gatto sopra uno scoglio poco dopo il salvataggio di una bambina che stava per annegare e immagina che quel gatto sia la reincarnazione di sua nonna. Decide allora di farsi tatuare sull’avambraccio la dea Bastet, divinità egizia con testa di gatto e corpo di donna. Seguono riflessioni sulle sette vite dei gatti, sulla reincarnazione e sul significato simbolico del numero sette nella filosofia greca antica e nelle religioni cristiana e buddista.
Martina, la sorellastra di Ramona, dice a proposito del desiderio umano di immortalità: «Ma poi, chi è davvero che vuole vivere in eterno? Chi è quel pazzo che vuole respirare e soffrire per sempre?»
La madre del bambino morto lamenta la fragilità degli uomini, la loro incapacità di affrontare il dolore: «Mio marito invece non ce la fa! È a casa. Per lui il dolore è un sentimento privato. Intimo. Da non condividere. È stato distante tutto questo periodo. Invece io ho attraversato le fiamme della disperazione senza nessuno a fianco».
Fragili e vili si presentano gli uomini anche di fronte alle scelte sentimentali: il papà di Rosa abbandona la madre dopo averla messa incinta, suo marito fugge via dopo il fattaccio che le ha stravolto la vita, il suo amante, il dottor Luciani, è costantemente indeciso tra lei e la moglie. Non mancano però esempi di forza e dignità come quello di Ahmed, il calzolaio somalo, che sacrifica la sua vita per la famiglia.
Lo stile è costituito da frasi brevi, incalzanti, incisive, che ti afferrano e ti trascinano nelle vicende narrate, facendoti vedere i fatti e i personaggi in presa diretta. Il linguaggio, modulato secondo la condizione sociale, culturale e psicologica di chi parla, trasmette, anche grazie all’uso del dialetto come nel caso dei portantini, un forte senso di realtà e di immediatezza.
La narrazione, quasi a simboleggiare il ciclo della vita che eternamente si distrugge e si rinnova, procede in modo circolare, chiudendosi laddove si era aperta, nel cimitero di provincia dove Rosa giocava da bambina.
Alla fine delle poco più di cento pagine di questo libro intenso e struggente, dove il mistero dell’evento che ha sconvolto la vita della protagonista ci spinge ad addentrarci in un intreccio di storie pregne di dolore e umanità, ci resta una riflessione lucida e disincantata sul significato della vita e il calore di un tributo amorevole e profondamente empatico nei confronti di chi assiste sgomento alla partenza di una persona cara per il suo ultimo viaggio.
Una scrittura ritmata, incalzante, che amalgama introspezioni, azioni e descrizioni in un vortice emotivo che afferra il lettore nelle viscere, impedendogli ogni elusione, ogni facile fuga, ogni distrazione. È una resa dei conti su un tema che da sempre arrovella gli esseri umani, facendoli sentire uniti nella moltitudine delle loro solitudini, solidali nella agghiacciante consapevolezza del loro destino: quello della morte.
Da leggere tutto di un fiato!
Il tema trattato è forse uno dei fondamenti eterni della vita: la morte. Tutti nel momento in cui nasciamo sappiamo che dovremo partire per l’ultimo viaggio e il tabù della morte è fonte di riflessioni e pensieri. In questo libro Caruana riesce a trattare un argomento così importante, quasi sacro, con un linguaggio semplice e scorrevole che ad ogni pagina coinvolge il lettore. Personaggi e storie si intrecciano, sfiorandosi e permeandosi, fino a che ognuno di noi può immedesimarsi in uno o più di essi e amarne pregi e difetti come fossero i propri. Da leggere tutto di un fiato!
LETTURA BELLISSIMA!
Libro letto tutto d'un fiato. Sentivo il bisogno di iniziare un capitolo subito dopo aver terminato l'altro. Una scrittura dritta e forte che ti arriva dentro creando molteplici emozioni. La narrazione passa da momenti di gioia pura a momenti di sconforto totale senza mai però lasciare spazio alla noia. Ogni capitolo ti trascina all'interno della storia, una storia nella quale ognuno di noi potrebbe rispecchiarsi. Un viaggio psico-narrativo che porta il lettore un gradino più in alto nella scala della propria crescita personale. Una lettura che fa riflettere, cosa che al giorno d'oggi si tende a trascurare. In questo libro Caruana riesce a toccare con delle note leggerissime tematiche di uno spessore enorme. Che dire di piú...LEGGERE PER CREDERE.
esperienza intima con se stessi
Poco più di cento pagine. Per non finirlo subito, ho dosato la lettura seguendo la suddivisione presente nel libro ispirata alla creazione secondo la Bibbia da lunedì a domenica. Un capitolo al giorno e sarebbe durato una settimana! Ancor prima di leggerlo, in realtà, mi ero sintonizzata inconsciamente con il romanzo, così denso da richiedere piccole dosi giornaliere.
L’attesa, l’attraversamento emotivo e la separazione, compagne di viaggio di questo romanzo!
Verso la fine abbandono l’andatura iniziale, non ho voluto aspettare, completando la lettura. Non sempre si possono rispettare i tempi decisi dalla ragione e l’autore lo fa sperimentare bene al lettore lasciando emergere con maestria la conflittualità interiore che pervade tutto il libro tra due parti di noi che a volte spingono su versanti opposti, uno verso l’istinto, l’altro verso la razionalità. Rosa, la protagonista, sana la sua conflittualità attraverso le scelte che compie, rimane dentro la relazione, anche nel silenzio che ci impone l’altro quando abbiamo ferito le sue aspettative.
I personaggi, divisi dalla conflittualità interna, percorrono strade che li spingono da bambini ad avere paura a fidarsi di sè, ma da adulti sembrano sempre più pronti ad accogliersi, superando lo scoglio del giudizio, forse anche quello di Dio, oltre a quello di sé stessi e degli altri.
Una lettura che spinge verso un continuo desiderio di essere sè stessi, con la fiducia di poterne contenere il dolore ma anche la generatività che ne consegue.
Spingersi oltre la morte, prendersi cura della transizione.
Attraversare la morte di noi stessi è ogni volta che affrontiamo una scelta, un cambiamento che apre alle possibilità dell’ignoto. Scegliere implica dolore perché si lascia andare. L’autore ci conduce un po più in là della scelta e della morte, dove troviamo anche un po' di conforto e di speranza.
Il dottor Luciani sfonda certi pregiudizi sull’identità maschile presenti spesso nell’immaginario comune. Lui incarna tutti gli uomini che nella nostra società si stanno attrezzando per farsi carico di una emotività loro negata per millenni perché “solo una donna può”
Come sempre, eccezionale la modalità di Caruana per affrontare certi temi esistenziali, accessibile a tutti e con una risonanza differente a seconda della capacità introspettiva e della storia personale di ciascuno.
Impossibile non sentirsi trascinati e non identificarsi con le parti interne di ciascun personaggio. La danza poi, alla quale ci invita il romanzo, in cui il narratore cambia di volta in volta, ci dona continuamente la possibilità di muoverci entro prospettive differenti, attraverso le quali scorgere le diverse parti di noi. Maestro di questa danza, Caruana, fa dono al suo lettore di narrazioni che non spiegano i sentimenti o le emozioni, ma le evocano attraverso parole mai giudicanti con le quali accarezza le anime di personaggi che ci permettono facili identificazioni.
La sintesi e la pulizia delle parole non ci lasciano distrarre mai da un sentire profondo e difficile da potere attraversare, come quello della caducità e della finitezza umana. Un romanzo coraggioso perché posa lo sguardo dove l’attuale società lo distoglie: la morte, i limiti umani, l’emotività, che spesso la persona anestetizza con relazioni fondate sulla compulsività, dinamiche di dipendenza espresse in varie modalità. Ci prende per mano Anthony Caruana, attraverso Rosa ci accompagna a guardare in faccia la pochezza umana, il corpo senza vita e il sentire doloroso che quotidianamente cerchiamo invano di seppellire sotto “strati cortisonici” (come li definisce) di meccanismi difensivi che però quando diventano troppi non ci proteggono più dal dolore e sgretolano improvvisamente la nostra falsa stabilità emotiva.
Lo scrittore ci fa dono del suo percorso interiore. Non promette nulla in copertina, nessuna strategia per vincere paure o avere successo. Consegna il lettore a sè stesso, al suo sentire come solo poeti, musicisti, scrittori e artisti di altissimo livello sanno fare, non descrive emozioni, ma tocca direttamente le corde della nostra emotività.
Dopo aver letto “l’abito della festa” non attraverso più meccanismi di difesa nel contattare l’autenticità della relazione, ma sento di attraversare “strati cortisonici di ironia” o di qualcos’altro. Le narrazioni dell’autore ci permettono di entrare in contatto con aspetti a volte indicibili di noi, senza il peso del giudizio, per questo accessibili.
Accostato a Dostoevskij o Salinger in questi anni, l’inconfondibile e personale stile di Caruana ormai chi lo legge lo ri-conosce. Maggiore è il contatto e la fiducia con la propria emotività e il coraggio di esporla, più prezioso il prodotto, inteso come Generatività, fattore imprescindibile nei suoi scritti.
La stessa generatività che andiamo a ricercare nelle stanze di psicoterapia, quando perdiamo il senso costruttivo dello stare al mondo. I personaggi partoriti dalla mente dello scrittore diventano generativi di una ricerca di senso e del piacere di vivere entro la relazione.
Il lettore sarà viziato dall’autore che lo introduce con la sua scrittura in contesti facili da immaginare, ma sempre accompagnato, se lo vuole, anche da un sottofondo musicale. Per questo romanzo, ad esempio, Anthony CARUANA ha composto un brano apposito fruibile con QR code.
Da bambina odiavo dover indossare l’abito della festa solo in alcuni giorni. Mia madre mi tratteneva dal volerlo consumare, doveva mantenersi distinto dagli altri, più bello, più nuovo e prezioso nella trama. Quell’attesa che lo rendeva desiderabile è la stessa attesa e il tormento che ognuno di noi ha provato nella vita e che questo romanzo evoca. La sensazione incontenibile di attendere una notizia o chissà quale responso che ci farà crollare o esultare. Non sappiamo cosa c’è dopo, ma una cosa è certa, che è il COME attraversiamo quell’attesa che determinerà il più delle volte come staremo dopo. Così come allora mia madre mi accompagnava a dare un senso a quell’attesa dell’abito della festa, anche oggi Caruana e i suoi personaggi vi accompagneranno se siete disposti a fidarvi di voi stessi.
Emozionante
Anthony ha avuto la straordinaria capacità di racchiudere, in poco più di cento pagine, l'intero ciclo della vita in una giostra caleidoscopica di personaggi, vicissitudini, emozioni. Le vite travagliate e segnate dai sentimenti primordiali degli attori s'intersecano tra loro in una composizione equilibrata, fluida, mai stonata, anche nelle sue più lancinanti guerriglie emotive, che si svela a poco a poco regalando al lettore il colpo di scena finale e quella magica sensazione che, alla fine, "tutto torna", ogni tessera è andata al suo posto e il cerchio si chiude. Si perché questa storia, che il lettore vive incarnandosi nei diversi narratori, ha un'evoluzione circolare, come il ciclo della vita, come la genesi della creazione, come la ciclicità della settimana e finalmente, la domenica, il lettore, il cui animo, che dal primo al penultimo capitolo è stato squassato, tormentato dalla crudità delle vicende e delle emozioni, può riposarsi, placato dal sollievo della verità, dal conforto dell'espiazione: il puzzle è stato completato. Le storie che rendono denso e corposo, pur nella sua brevità, questo romanzo, hanno un nucleo comune: la stanza degli addii, uno spazio e un tempo asettici, di passaggio tra un prima e un dopo, tra la frenesia e la calma, tra la vita e la morte. Una stanza fredda riscaldata dalla cura, vestita di sacralità, della preparazione del corpo nel rito di passaggio compiuta da Rosa, una donna che incarna tutta la bellezza e nel contempo tutte le brutture della vita. Fiori e lacrime, trasparenti come cristalli o verdi di bile, desideri e bisogni, amore e colpa, amore e odio, sfrontatezza e vergogna, caldo e freddo, luce e ombra si mescolano sul freddo tavolo di marmo che accoglie il corpo del defunto prima di consegnarlo per sempre alla nuda terra. Ogni capitolo, dedicato a un giorno della creazione, è un assaggio della variegata realtà umana, delle sfaccettature che caratterizzano le relazioni interpersonali, dei sentimenti embrionali e spesso contrastanti con cui facciamo i conti, anche inconsapevolmente, ogni giorno della nostra vita. Onore ad Anthony per "aver detto la verità" su certe questioni spinose che, talvolta, per pudore o convenzione sociale, si tendono a offuscare. Tanto per fare un esempio: una madre che ha amato più un uomo della propria figlia. Ogni lettore si siederà su quella poltrona rossa nella stanza degli addii, come su un angolo in controluce di un palcoscenico, dove si siedono anche i personaggi dandosi il turno e starà lì, in un silenzio carico di rispetto, ad assistere alla rappresentazione di quella drammatica commedia che è la vita.
L'abito della festa
Un libro bellissimo, molto profondo, va a toccare le corde del cuore, in un momento delicato, dove si deve affrontare il saluto ad un nostro caro, l'ultimo saluto, ognuno di noi affronta a modo suo il dolore della perdita, in ognuno di noi le emozioni e i ricordi, si affacciano, belli o brutti che siano stati.
Ma comunque quel momento ci segnerà per sempre ❤️
Come una carezza
Un romanzo che sembra sussurrato alle orecchie di chi legge. La delicatezza che Caruana usa in questo breve scritto - e che avrei preferito non finisse mai - è qualcosa di cui sente tremendamente il bisogno in questo periodo dove la violenza è sempre protagonista. Una storia circolare, con personaggi che restano nella memoria: ironici, dolci, confusionari, empatici. Nel romanzo c'è tutto: amare la vita attraverso l'incontro con la morte nel suo aspetto più doloroso, quello dell'ultimo incontro con il corpo pulito e composto, privato della vita, delle persone alle quali abbiamo voluto bene - e ancora e sempre gliene vorremo.
La capacità di emozionare il lettore è molto forte e non mi stupirei se questo fosse il romanzo di Caruana capace di dare più soddisfazioni all'autore.
Per il momento, la soddisfazione è tutta nostra, nel leggere questa stupenda storia.
L'abito della festa
Finito di leggere in una serata. Bellissimo, emozionante, sono senza fiato.
Come aver fatto una lunga corsa.
Tanta vita dentro.
Non è la morte il punto centrale, ma la VITA stessa.
Realtà contemporanea e facilità di immedesimazione.
Ogni personaggio può essere ognuno di noi...
Valutazione ottima.