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Antonietta Toso
COLLANA SCHEGGE
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Joannin
Antonietta Toso
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Joannin si è da poco trasferito con i genitori dal paese natio a San Donà di Piave quando, durante l'orario di scuola, piomba in classe il padre per richiamarlo con urgenza a casa perché la mamma sta male. Il bambino, nell'incredulità del momento, si rivolge mentalmente ad Athos, il personaggio de I tre moschettieri, divenuto per lui una sorta di amico immaginario e un rifugio, per domandargli se ciò che sta accadendo sia proprio vero. Prende il via da qui un romanzo esistenziale che segue le vicende, i dubbi e le incertezze del piccolo Joannin che dovrà farsi uomo cercando da sé le risposte a tante domande. Crescerà accanto a Ernesto e alla figlia Catia, imparando a gestire da solo i propri sogni, le insicurezze e le prime turbolenze adolescenziali fino a desiderare di indossare la divisa militare nella Seconda guerra mondiale. C'è in lui una gran sete di conoscenza che gli permetterà di farsi una cultura a dispetto di tutto, attraverso la quale tenterà di evolvere. La disperata ricerca del proprio posto nel mondo lo renderà caro a ogni lettore che in lui potrà riconoscersi.
Affidare, talvolta, vuol dire abbandonare
“ Se cresci senza nessuno che ti dica mai che sei bello o che sei bravo, senza una parola di conforto che ti rassicuri dandoti il tuo posto al sole nel mondo, niente sarà mai abbastanza per ripagarti di quel silenzio. Dentro resterai sempre un bambino affamato di gentilezza, che si sente brutto, incapace e manchevole, qualsiasi cosa accada. E non importa se, nel frattempo, sei diventato la più bella delle creature.”
Non esistono parole più adatte di quelle del regista turco Ferzan Ozpetek per descrivere Joannin, protagonista dell’omonimo romanzo scritto da Antonietta Toso, edito da Bertoni Editore.
Ambientato nel Nord-Italia del primo dopoguerra, racconta le vicende di un bambino timido e insicuro, ma con una sensibilità e intelligenza fuori dal comune, nonché un amore smisurato per i libri, tanto che il suo migliore amico è Athos, uno dei tre moschettieri nati dalla penna di Alexandre Dumas, con il quale, nella sua fantasia, instaura dei dialoghi che lo aiutano ad affrontare la dura realtà che lo circonda, come fanno anche oggi molti ragazzini.
La sua vita viene improvvisamente sconvolta dalla prematura dipartita della madre, in seguito alla quale il padre, alcolista incapace di prendersi cura del figlio, lo affida ad un contadino arricchito, Ernesto, che vive lontano con l’amata e viziata figlia, Catia.
Per Joannin, l’essere sradicato dal suo ambiente costituisce un ulteriore trauma che, unito al lutto appena subito, lo porta a chiudersi sempre di più in sé stesso
A consolarlo rimane solo il suo amico immaginario, Athos e, più tardi, la bibliotecaria Marilena, per lui quasi una sorella maggiore. Da questo momento in poi, il lettore assiste alla crescita e maturazione del protagonista, il cui amore per i libri lo porta a costruirsi una sua cultura da autodidatta, mentre il suo bisogno di essere accettato, capito, amato lo spingono a cercare di crescere socialmente fino ad imbracciare il fucile nella seconda guerra mondiale, le cui conseguenze gli lasceranno un marchio a fuoco nella carne.
Intorno a Joannin ruota un caleidoscopio di personaggi che l’autrice tratteggia delicatamente ma in maniera incisiva, presentandoli al lettore un passo alla volta, come quando si familiarizza con persone sconosciute. Pur essendo terribilmente umani, incarnano vizi e virtù presenti nell’animo umano: Ernesto è l’avidità, Nello la realtà, Marilena la saggezza, Felix il potere; infine c’è Catia, l’amore bugiardo che, in troppi casi, porta alla morte.
Joannin è un personaggio tenerissimo, dolorosamente reale pur essendo fatto di carta e inchiostro, un’anima pura che non conosce la malizia e a cui la vita non risparmia batoste.
Via via che lo si vede evolvere da bambino traumatizzato a ragazzo assettato di conoscenza, poi a uomo alla ricerca del suo posto in un’Italia distrutta e in ginocchio, il lettore non può fare a meno di rispecchiarsi in questo personaggio, nella sua forsennata ricerca di accettazione da parte delle persone che lo circondano, agli occhi delle quali non è mai perfetto, che gli appiccicano addosso etichette impossibili da staccare e, quando pensano di aiutarlo, gli fanno solo del male. Ma la verità è che ogni essere umano deve imparare ad accettare sé stesso ai propri occhi, prima di esigerlo dal mondo esterno. Deve imparare l’amore per sé stesso, il solo che ci rende amabili agli occhi degli altri, l’unico modo per trovare il proprio posto nel mondo. Quel cantuccio che ci fa dire «sono in pace con me stesso e con il mondo».
In fondo, siamo tutti Joannin, alla ricerca di noi stessi. Egli è uno di quei personaggi che, al pari del principe Myškin ne L’Idiota di Dostoevskij, si avvinghiano all’anima del lettore con artigli di ferro, facendola sanguinare, rompendo, alla maniera di Kafka, il mare ghiacciato che è dentro di noi.
Un personaggio che vorresti tirare fuori dal libro e stringere al petto.
Questo romanzo è un capolavoro di introspezione, degno di Dostoevskij.
Il sapiente mix di romanzo storico e psicologico ne fanno un libro impegnativo e commovente allo stesso tempo, il cui stile cattura il lettore fino all’ultima pagina, quasi che Dostoevskij e Oriana Fallaci abbiano guidato la mano dell’autrice nel creare questo prezioso gioiello.
Un gioiello da tenere sempre sul comodino e leggere e rileggere più volte, per non dimenticare l’insegnamento di Joannin: accettarsi e amarsi per quello che si è, senza rincorrere chimere.
Un romanzo che è un arazzo
“JOANNIN” di Antonietta Toso è un romanzo di formazione che si svolge a cavallo fra la fine della prima guerra mondiale e la fine della seconda. L’autrice dà vita al piccolo Joannin, un ragazzo timido e insicuro come tanti degli anni trenta, ma delicato e ingenuo. Così insicuro che a nove anni “non osava avvicinarsi all'uscita del filobus se alla sua fermata non vi era qualcuno cui mischiarsi e confondersi, tanto che di solito si diceva: “Scenderò alla prossima o magari a quella dopo.” Si rammaricava. Si tormentava. “Se solo avessi seguito il mio istinto ora mi troverei fuori. Sarei dovuto scendere prima, insieme a quei signori” si diceva.
“Per Joannin richiamare l'attenzione su di sé era un obbrobrio. Molto meglio camminare a lungo e inosservato nella nebbia, nella neve, nell'afosa estate anche quando zanzare grandi come pipistrelli erano là che l'aspettavano per dissetarsi del suo sangue.
Joannin, aiutato dal suo amico immaginario Athos, deve superare diverse prove, confrontarsi con le sue paure, i suoi ricordi, con la realtà in cui è costretto a vivere e con il “potere” rappresentato da Ernesto e dalla complessa società di quell’epoca. Egli ama, lavora, studia seppure di nascosto, appassionatamente. Ciò non lo esonera dai tormenti adolescenziali cui deve far fronte quali i primi affanni sentimentali, le amicizie come quella sincera di Marilena, la bibliotecaria. Quindi la guerra, esperienza che lo destabilizza lasciandolo ferito nel corpo e nella mente.
Antonietta Toso é stata abile a trasformare, pagina dopo pagina, un personaggio protagonista sensibile e direi “insolito” come lo è Joannin in un giovane uomo in grado di saper decidere della propria vita, di scegliere la strada da percorrere e se necessario di cambiarla. Di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Grazie all’accortezza di una narrativa fluida e consequenziale, complici i riferimenti storici, JOANNIN, assomiglia a un arazzo fatto di rilevi, trame e sottotrame.
Va letto.
Appassionante
Joannin è un bel romanzo che racconta la storia di un bambino che nasce in un epoca distante segnata dai traumi, dalle ferite della Grande Guerra, dalla recessione economica del 1929, quindi dal secondo conflitto mondiale al quale sarà spinto a farne parte e le cui conseguenze, insieme alle vicende sentimentali, sono leitmotiv dell’intero romanzo.
Joannin deve confrontarsi con questa realtà lontana che la scrittrice, con abilità sorprendente, riesce a far sentire vicina per non dire attuale. Tutto sembra avvenire proprio adesso, di fronte agli occhi del lettore.
Joannin è anche un romanzo che parla della passione, dei turbamenti, dell’amore che fin da adolescente sente per Catia, la figlia di Ernesto, padre putativo e suo padrone dal quale si ribella in cerca di emancipazione.
Antonietta Toso non si perde in descrizioni chilometriche e particolareggiate di ambienti e personaggi che tende invece a sfiorare nella evidente necessità di dover aprirsi all’atmosfera del momento. Si sofferma, invece, sulle loro caratteristiche intime, psicologiche e umane. Ci mostra un Joannin, bambino e poi uomo dalle peculiarità spirituali che lo distanziano dall’usuale. Penso all’amico immaginario Athos con cui attraversa l’intero romanzo.
Penso al suo amore sviscerato per la terra in cui era nato, per la sua gente che fu costretto a lasciare dopo la morte dei genitori a nove anni ma che ritrova nelle letture, specie in quelle di Remarque come nel romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.
Penso alla percezione in cui si culla e perfino spera possano esistere mondi sconosciuti, alla sensazione che ogni forma di vita subisca il fascino della luna, dei pianeti stessi, tanto da influenzare il proprio destino.
Penso alla sua capacità di vedere le cose, di assorbirle entrarvi dentro come quel sentimento improprio che lega il padre di Catia alla figlia, tanto da interferire con la loro unione.
In altre parole Joannin viaggia fra cielo e terra con estrema disinvoltura, intuisce ci sia fra loro un legame indissolubile.
E’ viscerale, passionale, terreno tuttavia nello stesso tempo, sa volare, riesce a distaccarsi dal materiale come quando dal finestrino del treno “Joannin osservava quello che fra fantasia e realtà, gli pareva, sorretto dalle nuvole, il fantasma dal cerchio luminoso descritto da Goethe nel suo Faust”.
E’ un romanzo dal sapore antico per intrecci, colpi di scena e sostanza che s’intrufola fragorosamente nei giorni nostri dai quali quasi ci allontana.
E’ un romanzo che va letto, assaporato, solo così si può entrare nella mente piuttosto complessa, eccentrica, di Joannin.
STREPITOSO
Ho appena terminato di leggere il primo romanzo della scrittrice Antonietta Toso ma, dalla qualità della scrittura, non si ha l’impressione che questa sia la sua prima opera.
Fin dalle prime pagine colpisce il modo naturale ma potente con cui introduce il piccolo Joannin, ragazzino insicuro e balbuziente in lotta con i propri fantasmi inconsci nelle tempeste degli anni trenta della crisi economica mondiale e quindi in quelle degli anni quaranta. Vent’anni di storia nazionale del nostro paese raccontate, a tratti, crudelmente.
Mi sono lasciata dunque prendere per mano dalla scrittrice e, con Joannin, ho anche io attraversato quei vent’anni di storia nazionale.
Mentre leggevo “Joannin” spesso mi trovavo come seduta davanti a uno schermo, tanto le scene descritte sono chiare. Vedevo Joannin con il padre Primo, lo vedevo vestito da soldato, lo vedevo attraversare la pianura che conduce a Lubiana, vedevo Roma in fiamme che bruciava e sentivo lo scoppio delle bombe. Vedevo i morti al bagliore di una luna piena restia ad allontanarsi per dare spazio all’aurora.
Vedevo e percepivo Joannin perso negli occhi della sua Catia. Tutto sembra succedere di fronte al lettore.
Sono tante le vicende che mi sono rimaste impresse di questo romanzo. Ho perfino pensato che ogni fase della vita di Joannin è talmente ricca e intensa, sfaccettata, da diventare una storia a sé, che si moltiplica in molte altre storie.
La verità forse sta nel fatto che c’è un minuscolo Joannin dentro ad ognuno di noi. Quando siamo nei conflitti e nei sospiri dell’adolescenza, quando aspiriamo ad occupare, in un modo o in un altro, un posto nel mondo, che davvero conti per noi. Quando finalmente ci innamoriamo, incondizionatamente, con la differenza che, in tutto questo, Joannin è solo. Senza una guida.
Continuavo a chiedermi, mentre con lui percorrevo, discese e risalite: “Ce la farà Joannin infine a raggiungere quell’ambita meta?” Perché di mete se ne pone molte.
Antonietta Toso ha saputo rendere, attraverso l’animo di Joannin, un romanzo, complesso e trascendentale, affascinante e leggero. Lo ha fatto attraverso descrizioni di stati d’animo e ambientazioni che hanno un tocco di poesia.
Mi fermo qui per non assecondare la tentazione di rivelare troppo del romanzo stesso, e quindi far scemare il desiderio di leggerlo a chiunque voglia farlo.